Il lavoro domestico è una risorsa indispensabile per molte famiglie italiane. Secondo i dati dell’INPS, alla fine del 2023, 834.000 colf e badanti risultavano regolarmente assunte, a dimostrazione di quanto questa categoria professionale sia popolata. Tuttavia, un’ombra si staglia su questo settore: il lavoro nero. La CGIA di Mestre stima che più della metà dei lavoratori domestici operi senza un contratto regolare. Questo fenomeno ha radici profonde e conseguenze devastanti sia per i lavoratori sia per l’intero sistema economico, ma ci sono soluzioni per contrastarlo.
Il problema del lavoro nero nel settore domestico è particolarmente complesso, poiché gli ambienti di lavoro – case private – rendono difficili i controlli e aumentano il rischio di irregolarità. Inoltre, per molte famiglie italiane, le difficoltà economiche e la mancanza di incentivi adeguati spingono verso la scelta di non regolarizzare questi rapporti di lavoro. Tuttavia, il lavoro nero non solo espone i lavoratori a situazioni precarie e senza tutele, ma priva anche i datori di lavoro della possibilità di accedere a detrazioni fiscali e ad altre agevolazioni previste per i rapporti contrattualizzati.
Lavoro Nero: Un Fenomeno Diffuso e Pericoloso
Secondo il rapporto annuale dell’Osservatorio DOMINA, in Italia ci sono circa 1,86 milioni di lavoratori domestici, ma poco meno di 900.000 sono regolari. Questo significa che oltre il 50% delle colf, badanti e babysitter lavora in nero. Questo fenomeno è in crescita, con una diminuzione costante dei contratti regolari. La mancanza di controlli efficaci e la difficoltà di applicare sanzioni nelle case private sono solo alcuni dei fattori che alimentano il lavoro sommerso. Gli ispettori dell’INPS, per motivi legati alla privacy, non possono effettuare verifiche all’interno delle abitazioni private, a meno che non ci sia una denuncia formale o un segnale di irregolarità. Di conseguenza, se non c’è una contestazione da parte del lavoratore o del datore di lavoro, la situazione irregolare può proseguire per anni senza essere scoperta.
Un altro aspetto del lavoro nero riguarda la volontà dei lavoratori stessi. In molti casi, colf, badanti e babysitter accettano di lavorare in nero per evitare di perdere l’occupazione o, in alcuni casi, per evitare riduzioni di sussidi come assegni familiari o pensioni di mantenimento. Tuttavia, questo comporta una totale mancanza di protezioni: niente contributi previdenziali, ferie retribuite, malattia o TFR. È un circolo vizioso che priva i lavoratori di diritti fondamentali e danneggia anche il tessuto sociale ed economico del Paese.
Come Contrastare il Lavoro Nero: Due Soluzioni Chiave
Per contrastare il lavoro nero nel settore domestico, ci sono alcune soluzioni pratiche che possono tutelare i diritti dei lavoratori e garantire che le famiglie possano accedere ai benefici previsti dalla legge.
1. Denunciare all’Ispettorato del Lavoro
Se un lavoratore domestico è assunto in nero, la prima opzione è quella di denunciare la situazione all’Ispettorato del Lavoro. Questo ente può avviare un procedimento per cercare di risolvere la questione in modo bonario, attraverso la regolarizzazione del rapporto di lavoro e il recupero dei contributi non versati. In caso di mancato accordo, l’Ispettorato può anche applicare sanzioni amministrative al datore di lavoro, che possono essere molto severe.
2. Azione legale per recuperare quanto dovuto
Un’altra soluzione è avviare un’azione legale entro cinque anni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Attraverso un procedimento giudiziario, il lavoratore può chiedere il riconoscimento degli stipendi non versati, delle differenze retributive rispetto al contratto collettivo nazionale, delle ferie non godute e del TFR. Inoltre, il datore di lavoro può essere obbligato a versare i contributi previdenziali arretrati. In caso di successo in tribunale, il lavoratore può recuperare tutte le somme dovute.
Incentivi Fiscali: Una Chiave per Contrastare il Lavoro Nero
Uno degli strumenti che possono incentivare la regolarizzazione dei lavoratori domestici è rappresentato dalle detrazioni fiscali. Ad esempio, per chi assume un assistente familiare che si occupa di persone non autosufficienti, è possibile detrarre il 19% delle spese fino a un massimo di 2.100 euro all’anno, a patto che il reddito complessivo non superi i 40.000 euro. Tuttavia, secondo Assindatcolf, il sindacato dei datori di lavoro domestico, queste agevolazioni sono insufficienti. Il rischio è che molte famiglie, non rientrando nei requisiti, preferiscano ricorrere al lavoro nero.
Per combattere efficacemente il lavoro sommerso, sarebbe necessario ampliare la platea delle famiglie che possono beneficiare di agevolazioni fiscali e rendere più attrattiva l’assunzione regolare dei lavoratori domestici. Assindatcolf suggerisce l’introduzione di misure più universali, che non siano limitate solo a determinate fasce di reddito o condizioni specifiche, ma che possano coinvolgere un maggior numero di famiglie.