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Demografia e lavoro in Italia: perché l’aumento degli occupati non basta (e cosa serve davvero)

Negli ultimi anni il mercato del lavoro dell’area euro – e in particolare quello italiano – è cambiato rapidamente, spinto da dinamiche demografiche che hanno riscritto equilibri e priorità. Il tasso di disoccupazione ha toccato minimi storici nel 2024, pur con una forza lavoro in crescita rispetto al 2021: un segnale forte che lega partecipazione e occupazione. Ma il quadro, se lo guardiamo da vicino, è più sfumato: l’età media degli occupati sale, i contratti stabili crescono soprattutto nelle fasce più mature e l’inattività si riduce grazie a carriere più lunghe.

Chi sta trainando la partecipazione

Tre componenti hanno spinto la crescita della partecipazione al lavoro: persone provenienti da fuori UE, lavoratori più anziani e profili con istruzione terziaria. Oltre a crescere nei numeri, hanno aumentato i tassi di partecipazione.
Nel caso italiano, l’andamento dei lavoratori over 50 è persino più intenso della media dell’area. A incidere sono stati: innalzamento dell’età di pensionamento, maggiore domanda di competenze esperte, condizioni di lavoro più sostenibili in molte mansioni. Nel 2024 il tasso di disoccupazione degli over 50 risulta nettamente più basso di quello medio; se la loro occupazione fosse rimasta sui livelli del 2021, il tasso di disoccupazione complessivo sarebbe più alto.

Tempo indeterminato: chi cresce davvero

Se dividiamo l’occupazione a tempo indeterminato per fasce d’età (2015 → terzo trimestre 2024) emerge un dato chiaro:

  • 15–34 anni: +493.000 unità

  • 35–49 anni: –629.000 unità

  • 50+ anni: +1,88 milioni di unità

Tradotto: gli occupati stabili sopra i 50 anni sono cresciuti quasi 4 volte rispetto a quelli sotto i 35. La storica concentrazione di contratti temporanei tra i giovani non basta a spiegare la distanza: pesano l’invecchiamento della forza lavoro e la maggiore permanenza attiva. In parallelo, l’inattività scende proprio perché le carriere si allungano.

Un trend positivo che apre domande serie

I numeri dell’ultimo decennio – più occupazione, meno disoccupazione, meno inattività – sono positivi. Ma il motore demografico che li sostiene pone due interrogativi operativi per il sistema produttivo italiano.

1) Occupazione ≠ Produttività (se mancano riqualificazione e riprogettazione del lavoro)

La crescita dell’occupazione non si è tradotta in un analogo aumento di valore aggiunto. La produttività del lavoro è cresciuta poco e ha rallentato nel 2023. Se il traino arriva da fasce over 60 senza un disegno chiaro di reskilling, ergonomia e redistribuzione delle attività (chi fa cosa, con quali strumenti, con quali obiettivi), il rischio è un effetto penalizzante su produttività e salari.
Cosa serve:

  • Progettare il lavoro per età: layout, turni, carichi cognitivi/fisici, strumenti digitali adatti.

  • Reskilling mirato e continuo: moduli brevi e applicativi, certificazioni spendibili, coaching on-the-job.

  • Ruoli ibridi: tecnici senior su compiti ad alto valore (diagnosi, controllo qualità, mentoring) e automazione sulle attività ripetitive.

  • KPI chiari: produttività oraria, scarti, tempi di setup, FCR/CSAT dove rilevante lato servizio.

2) Il nodo 2026–2035: uscite dei baby boomer e ricambio insufficiente

Con il pensionamento – pur ritardato – della generazione più numerosa, il mercato del lavoro rischia un vuoto di offerta che i cohort successivi, più piccoli, non colmeranno in quantità. Livelli d’istruzione più alti aiuteranno, ma da soli non basteranno.
Cosa serve ora (non tra cinque anni):

  • Piani di successione e academy interne per trasferire competenze critiche dai senior ai team.

  • Automazione senza tabù su processi ripetitivi, con controllo umano dove conta (qualità, sicurezza, fiducia cliente).

  • Attrazione di competenze dall’esterno con percorsi rapidi di inserimento (tirocini qualificati, apprendistati professionali, fast-track per profili STEM e service).

  • Politiche attive su ricollocazione, mobilità territoriale, allineamento scuola-impresa su skill tecniche e digitali.

Cosa significa per le imprese (operativo, subito)

1) Workforce planning a 24–36 mesi
Mappa età, ruoli critici, rischio turnover e finestre di uscita. Simula scenari di sostituzione (assunzioni, upskilling, automazione).

2) Skill matrix per ruolo
Definisci skill minime/attese/di eccellenza; misura i gap; collega la formazione a KPI (qualità, tempi, rese, NPS/CSAT).

3) Formazione modulare, misurata
Micro-moduli (2–8 ore), pratica e valutazione in uscita. Ogni ora formativa deve avere un KPI di esito (errore –x%, setup –y min, reclami –z%).

4) Redesign dei processi
Ridisegna i flussi: cosa automatizzare, cosa spostare ai senior, cosa assegnare ai profili junior con crescita guidata.

5) Brand come datore di lavoro
Per attrarre 20–35enni: onboarding forte, prospettive trasparenti, strumenti moderni, mentoring visibile, feedback loop e percorsi chiari di crescita.

Giovani: come invertire la forbice dei contratti stabili

  • Primo contratto di qualità: apprendistato vero, con curriculum formativo e tutor interni misurati sui risultati.

  • Job rotation entro 18–24 mesi per consolidare skill trasversali.

  • Valorizzazione dei risultati nel sistema premi: obiettivi chiari, feedback trimestrali, crescita economica collegata a competenze e impatti reali.

  • Partnership scuola-impresa: progetti brevi con esiti misurabili, non solo open day.

Over 50: come trasformare esperienza in produttività

  • Mentoring retribuito e riconosciuto nei piani MBO dei senior.

  • Ripartizione smart: meno compiti ripetitivi, più diagnosi/controllo/cliente.

  • Ergonomia e digitalizzazione a supporto (strumenti, interfacce, check-list digitali, realtà assistita dove utile).

  • Percorsi salute e sostenibilità del lavoro (turnistica, prevenzione, upskilling digitale leggero).

Una regola semplice: misurare per decidere

Ogni iniziativa deve avere baseline, target e verifica:

  • produttività oraria / per addetto

  • tasso di stabilizzazione junior

  • riduzione errori/scarti

  • tempi di set-up e consegna

  • KPI di servizio (FCR, CSAT, NPS) dove applicabile
    Senza metriche, le politiche demografiche nel lavoro restano storytelling. Con le metriche diventano vantaggio competitivo.

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